25 luglio 2018
Abstract
Con l’art. 7 del d.l. 152 del 13 maggio 1991 è stato
introdotto nel nostro ordinamento un meccanismo sanzionatorio di assai dubbia
legittimità sia sul piano del rispetto dei principali canoni costituzionali,
quali, primo fra tutti, quello della determinatezza sia sul piano della sua
prevedibilità di applicazione, in rapporto ai principi espressi da altro art.
7, stavolta quello della CEDU. La disposizione anzidetta reca infatti
un’aggravante che risulta non prevedibile quanto alle sue possibilità di
applicazione, prima di tutto, per effetto della sua genericità descrittiva.
Come noto, il dispositivo in esame vede quali suoi presupposti di applicazione,
in via alternativa, il cd. “metodo mafioso” e “l’agevolazione di una
consorteria di stampo mafioso”.
Definire ex ante, come le regole del gioco imporrebbero, in
cosa consista il “metodo mafioso”, è cosa pressoché impossibile. Tale
impossibilità è resa peraltro ancor più manifesta, se si considera che
l’aggravante anzidetta, in parte qua, è ritenuta in grado di operare pur a
prescindere dall’esistenza di una vera e propria associazione criminale così
connotata. Non meno problematico è il quadro dogmatico-ermeneutico riferibile
alla “sotto-fattispecie” dell’“agevolazione”, poiché, se è vero che, con
riferimento a questa seconda, la consorteria di stampo mafioso si ritiene debba
effettivamente sussistere, è anche vero che anche in ordine ad essa si apre un
vero e proprio limbo ricostruttivo. L’aggravante, in tale altra parte qua,
trova infatti quale ulteriore disciplina evocabile quella del cd. “concorso
esterno” ex art. 110 – 416-bis c.p. Come noto, anche tale disciplina è affidata
al criterio della causalità.